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Un lungo e freddo inverno

Un lungo e freddo inverno

La pandemia sembra essere alle spalle ma come da manuale sempre più appare come il minore dei mali. Una guerra alle porte dell’Europa orientale da quasi un anno (otto se si conteggia dall’occupazione militare delle regioni di Lugansk e del Donbass) non solo miete vittime umane e produce tragedie sociali, ma appare sempre più come la pericolosa chiave di lettura della politica estera fra Russia ed Occidente, destinata solo ad essere usata lungo un fronteggiamento prepotente ed arrogante che non lascia presagire nulla di buono. Le ricadute della guerra in termini energetici, repressivi e industriali si preannunciano esponenziali, presagendo un futuro dove l’impoverimento progressivo di milioni di persone appare non più come una minaccia, ma come una costante della vita sociale. Al quadro economico e sanitario internazionale va ad aggiungersi il quadro politico italiano conseguente alle elezioni del 25 settembre scorso.

Il nuovo governo di estrema destra, insediatosi a poco meno di un mese dalla tornata elettorale, mostra il suo scontato volto di lunga mano violenta di un padronato non più agrario e industriale, ma finanziario e globale. I personaggi e i volti noti della politica, i faccendieri e ciarlatani degli sciroppi energetici, quelli della nota ditta farmaceutica dell’uomo forte (poco importa se sia una donna forte, anzi…) faranno del loro meglio seguendo, in particolare, tre obiettivi: 1) accaparrarsi i soldi del PNRR; 2) favorire gli interessi di amici e conoscenti; 3) cambiare il volto giurisprudenziale del paese il più possibile. Già partono bene. La destra estrema di Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega arriva al governo del paese grazie ad una legge elettorale fra le peggiori della storia repubblicana, ed un astensionismo fra i più alti della storia: più di un terzo degli elettori ha disertato le urne. In buona parte più per passività e rassegnazione che per altro. La composizione e la denominazione dei dicasteri scelti mostra tutta l’ottica ideologica utile a far discutere e a far perdere tempo su argomenti di facciata, a dare un contentino agli elettori, specie quelli meno abbienti che sperano nella popolana Meloni per le loro perdute sorti, e ad ogni modo ad indirizzare fortemente verso destra la capacità di lettura ed interpretazione della realtà. L’istruzione quindi non diventa più un diritto, ma un merito, la famiglia viene declinata all’interno di una categorizzazione figlia del secolo XIX, e la disabilità oggetto di attenzione particolare, più che di inclusione sociale. E molto altro. Strumenti ideologici appunto e funzionali a spostare il welfare italiano sempre più verso la privatizzazione, lo spezzettamento, lo smembramento ed in nessuna maniera utile a soddisfare i bisogni degli ultimi. Se l’economia italiana soffre, come quella occidentale, si mandano da subito messaggi rassicuranti ad imprese e padroni di ogni genere che verranno tutelati il più possibile i loro interessi. I loro, non certo quelli di lavoratori e della collettività in generale. Ovviamente si sente un gran cianciare di rilancio del turismo, con soldi che arriveranno a palate, ma non certo nelle tasche di chi lavora decine di ore – e più – tutti i giorni per quattro miseri euro, ma nelle casse dei soliti che del lusso e dello sfruttamento hanno fatto i due termini di interpretazione del divertimentificio italico.

Il ministero della difesa diventerà sempre più della guerra e del made in Italy in fatto di produzioni belliche da piazzare e sostenere nei mercati internazionali. Immaginabili, in senso negativo, le performance dei ministeri dati in mano ai tecnici, a partire da quello della sanità che al contrario avrebbe bisogno di uno sguardo tutto politico – e sociale – per rimediare ai decenni di tagli. E tutto questo tanto per cominciare, poi piano piano in questi lunghi cinque anni – se non di più – si cambierà in senso autoritario e oligarchico la costituzione, si restringeranno i diritti delle donne e dei lavoratori, le libertà liberali scompariranno assieme a quelle sociali. Pezzo dopo pezzo, foglia dopo foglia in una strategia del “carciofo” che tutta la classe dirigente di questo paese non potrà che applaudire dato che la stessa ha spinto per arrivare a questo quadro finale che dovrebbe accelerare la transizione italiana da una società aperta e democratica, ad una meno aperta e meno democratica. Le migliori utopie del ‘900 scompariranno dietro il peso dei peggiori incubi del ‘900 stesso. Non necessariamente in maniera violenta. Anzi, in tutto ciò, il bel paese appare per quello che è: il degno erede delle logiche bizantine di palazzo che regolamentano una repubblica oligarchica forse addirittura meno democratica di quella millenaria della laguna veneta. E tutto questo non accade oggi con la venuta del governo Meloni, anzi questo è l’ultimo atto di un cambiamento mortifero della società italiana sempre più egoista ed ignorante, serva di un profitto capitalista sempre tutelato. Se oggi la questione, per qualcuno possa sembrare la difesa della costituzione, va ricordato che questa in venti anni dalla sua nascita non aveva prodotto cambiamento alcuno nelle classi lavoratrici. Solo dopo che queste iniziarono a rivendicare una fetta di quella giustizia sociale, di quel benessere del boom del dopoguerra cui avevano contribuito, allora si realizzò, nella stagione degli anni ’60 – ’70, un rapido cambiamento di una società vecchia e fortemente diseguale. Molte delle conquiste di allora oggi non esistono più in termini di diritti sindacali e salariali, di rappresentanza politica e di sicurezza sociale. Due fronti importanti del welfare italiano continueranno ad essere oggetto di attenzione politica e finanziaria da parte del nuovo governo. In continuità con i precedenti: la sanità e la previdenza pubblica. Nel secondo caso la macchina, rabberciata, della propaganda delle destre governative, annunciano una riedizione di quota cento o opzione donna o chiamatela come volete: permettere un’uscita pensionistica anche prima dei sessant’anni, a certe condizioni contributive, ma con una riduzione importante della pensione che si andrà a percepire. Soldi risparmiati per la previdenza pubblica, accelerazione ulteriore verso la ricerca della previdenza integrativa, e ritorno nelle mura domestiche di una povertà salariale e pensionistica cui si sceglie di non dare risposte, anzi di acuirla. Si parla di circa mezzo milione di lavoratori che potrebbero uscire anticipatamente dal mercato del lavoro. Una cifra irrisoria, né funzionale all’immissione di giovani leve nei vuoti occupazionali che si creeranno, né utile a costruire un quadro strutturale equo e moderno, con meno ore di lavoro e prospettive pensionistiche migliori, come si dovrebbe. Insomma l’Italia della Meloni, figlia di quella di Draghi, Conte, Renzi e compagnia varia, sceglie di mantenere un modello vecchio di paese al fine di continuare a pescare nelle pieghe del tirare avanti, sistemi di controllo e di ricchezza ulteriormente stressati. Intanto si prepara il paese ad un cambiamento che guarda all’America capitalista (Trump o non Trump poco cambia) alla Russia oligarchica, non solo quella di Putin, ma anche quella di Stalin, e degli Zar. Un’Italia insomma che guarda molto al passato e che lo interpreta in termini di potere con le parole del Marchese del Grillo: “Io so io, e voi non siete un cazzo”.

Per quello che riguarda la sanità pubblica, la quale si è comportata egregiamente nell’affrontare la pandemia, specie in rapporto a quella privata, e questo non certo per colpa o meriti dei sanitari, ma come sempre di una dirigenza che uscirà impunita da tutti i danni provocati in questi due anni. Come verrà “cucinata” la sanità pubblica in Italia nei prossimi anni è sotto gli occhi di tutti: alla mancanza di posti letto, servizi, prestazioni e soprattutto personale, arrivano sempre più risposte, da ogni parte, da ogni regione, in termini di privatizzazioni e appalti di ogni tipo, contratti privati per i medici a coprire i vuoti nei Pronto soccorso, interi reparti ospedalieri appaltati, servizi territoriali costretti ad andare avanti senza personale vero strutturato. Non è più da chiedersi quanto sarà privatizzata, ma quanto costerà questo nuovo welfare liberista, in camicia nera, e quanto sarà utile. Un esempio può essere la scuola pubblica, violentata da decenni di tagli con un personale vecchio e sfiduciato, ma soprattutto con programmi e conduzione che non riescono ad offrire quella istruzione necessaria per creare donne e uomini liberi, pensanti, autonomi. Probabilmente, come accennato, sarà utile a riconoscere il “merito” ai giovani delle classi più povere, di meritare un lavoro a vita sa servi di una società fatta di caste e discriminazioni varie.

In realtà le ultime generazioni licenziate dagli esami di maturità si presentano molto povere di conoscenze e ricche di quei non-saperi veicolati dai social. La DAD attivata durante la pandemia ha solamente reso più evidente ciò che era davanti agli occhi di tutti: l’incapacità, l’impossibilità nei fatti di sostenere ulteriormente un welfare svilito e impoverito su tutti i fronti. Anche su quello politico. A questo punto non resta che interrogarsi anche sulla capacità dei movimenti, dei deboli, della collettività di farsi soggetto politico ed agire contro questo governo. Domanda di facile – purtroppo – risposta, in quanto in questi ultimi decenni si è visto un progressivo depauperamento della politica e della conflittualità della classe operaia tutta. Se l’insediamento del Governo Meloni è stato salutato da diverse manifestazioni studentesche e pacifiste nel paese, è da rilevare che, dopo la sconfitta militare di venti anni fa, nel 2001 a Genova, i movimenti di base non si sono più ripresi. La loro ritirata è stata sempre più in settori marginali e di nicchia in ambienti angusti, autorappresentativi, autolegittimanti, con capacità di influire sulla realtà pari a zero. Il referendum sull’acqua pubblica è stato vinto sul piano istituzionale, ma totalmente disatteso sul piano politico ed economico. Le conquiste sociali del passato sono state tutte messe in discussione costringendo i più a correre dietro alle proposte oscene del Bonaparte di turno, a destra come a sinistra. Ai diritti degli ultimi si sono sostituiti posticci diritti liberali, ininfluenti sulla struttura sociale, funzionali sul piano della distrazione delle forze, perfetti per cancellare le ultime istanze di classe possibili. Ci aspetta un lungo inverno. Un lungo e freddo inverno e non tanto e solo per colpa della guerra fra Russia ed Ucraina. Non necessariamente sarà eterno, ma si porterà via sicuramente saperi e pratiche che hanno permesso i miglioramenti sociali che abbiamo conosciuto molto tempo fa. O forse no. In parte dipende da noi, specie dalla nostra capacità di avere consapevolezza di tutto questo.

Giordano Cotichelli

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